Fisioterapia

LA PUBALGIA

Pubalgia fisioterapia

15 MARZO 2020

LA PUBALGIA



La sindrome retto-adduttoria, definita più comunemente con il termine pubalgia, è un’entesite, cioè un’infiammazione che interessa la zona del muscolo che si inserisce sull’osso; colpisce prevalentemente gli adduttori (nel 70-80% dei casi), ma anche il retto dell’addome e lo psoas e può interessare anche il tessuto osseo del pube.
È causata da molti fattori che producono disturbi alla meccanica muscolare di questa regione, tra cui scoliosi, iperlordosi, varismo molto accentuato delle ginocchia ed eterometrie degli arti inferiori, o comunque da tutte le attività che generano un sovraccarico dovuto ad una serie di microtraumi ripetuti nel tempo.

I soggetti maggiormente colpiti sono coloro che presentano, come già accennato, squilibri nella meccanica muscolare, o coloro che praticano sport nel quale vi è una richiesta funzionale della muscolatura interessata dalla patologia molto elevata, tra cui il calcio o il tennis, ma anche le donne in gravidanza a causa delle modificazioni posturali e ormonali che questa situazione genera.

Il sintomo principale è il dolore in zona inguinale che in alcuni casi si irradia lungo la muscolatura adduttoria e/o addominale, verso il perineo e, a volte, verso i testicoli, ed è di intensità variabile a seconda del grado di avanzamento della patologia; ad esso si accompagna zoppia e, nei casi più gravi, impotenza funzionale.
Vista la molteplicità delle irradiazioni è importante fare diagnosi corretta in quanto ci sono alcune problematiche, le più importanti delle quali sono ernia inguinale, artrosi d’anca e varicocele, che hanno una sintomatologia dolorosa molto simile e potrebbero generare degli errori diagnostici.
La diagnosi è principalmente strumentale attraverso un esame ecografico dinamico in grado di evidenziare le aree infiammate della parete muscolare ed una risonanza magnetica per valutare gli altri compartimenti interessati ed escludere patologie annesse a queste aree.

La patologia in questione si può classificare in base a quanto è e grave l’infiammazione e il dolore che ne deriva:

- Grado 0: il dolore è lieve e si presenta solo alla palpazione, ma non inficia minimamente la deambulazione.

- Grado 1: il dolore viene avvertito dal soggetto solo quando svolge attività fisica, ma scompare dopo aver terminato. La situazione in questo caso tende spesso a peggiorare poiché si tende a sottovalutare la sintomatologia ed a proseguire l’attività, sperando che il problema si risolva spontaneamente.

- Grado 2: il paziente ha dolore persistente anche dopo aver praticato sport e durante la normale deambulazione; il grado di infiammazione è elevato e occorre intervenire al più presto per evitare che peggiori e passi al grado successivo.

- Grado 3: il dolore cronicizza ed è molto forte, tanto da non permette al paziente di camminare normalmente. L’astensione dall’attività sportiva può durare anche per mesi visto che i tempi di recupero sono molto lunghi e, in alcuni casi, i farmaci antinfiammatori non rispondono in maniera adeguata.

La terapia nella maggior parte dei casi è di tipo conservativo e deve rispettare le esigenze del soggetto che inizialmente si troverà in una fase acuta per poi passare ad una sub-acuta.

Durante la fase acuta è bene riposare, astenendosi dall’attività fisica o comunque svolgendo attività molto blande che non esacerbano il dolore. Il ghiaccio dà immediato beneficio in situazioni infiammatorie e riduce la sensazione dolorosa; 20 minuti di applicazione per 2-3 volte al giorno possono aiutare significativamente il paziente. È consentito in maniera adeguata anche l’utilizzo di antinfiammatori per via orale, consultando sempre un medico.

Anche la massoterapia sia muscolare che connettivale e le terapie fisiche ci vengono in aiuto e, in particolare, le onde d’urto, trattamento elettivo di questa patologia, che genera una sorta di micro-massaggio in grado di stimolare alcune reazioni biologiche provocando un effetto antinfiammatorio ed antidolorifico oltre a migliorare localmente l’apporto di sangue e quindi la microcircolazione. Le sedute di onde d’urto durano inoltre pochi minuti ed il beneficio, nella maggior parte dei casi, è apprezzabile già dopo la prima applicazione.
Associati alle onde d’urto, spesso si utilizzano la tecarterapia, gli ultrasuoni e il laser ad alta potenza, tutti utili ad innescare il processo riparativo e a ridurre il dolore.
In questa fase è utile anche lo stretching delle strutture muscolari interessate al di sotto della soglia del dolore poiché negli ultimi anni è stato ampiamente dimostrato che l’immobilità completa in questi casi porta alle stesse problematiche di un sovraccarico.

Superata la fase acuta della patologia il trattamento deve mirare alla risoluzione delle cause meccaniche del problema al fine di evitare recidive, attraverso la correzione delle posture scorrette, il rinforzo dei muscoli più deboli e lo stretching di quelli più contratti, l’utilizzo di plantari per ridistribuire il carico in caso di varismo di ginocchio o di rialzi per le eterometrie degli arti inferiori.

Quando il trattamento conservativo non fornisce i risultati sperati ed il dolore persiste per lungo tempo si può ricorrere alla chirurgia che ha una percentuale di successo del 90% ed assicura una regressione pressochè totale della sintomatologia dolorosa mediante varie tecniche.

La sindrome retto-adduttoria è una patologia complessa sia da diagnosticare che da trattare nel modo corretto, vanno ricercate attentamente le cause e va impostato un piano riabilitativo adeguato e specifico per ogni soggetto, per questo è bene affidarsi a professionisti competenti evitando di adottare soluzioni “fai da te” che potrebbero solo peggiorare la situazione.
 

Stefano Nizza, Dottore in Fisioterapia