Fisioterapia

EPICONDILITE LATERALE

Epicondilite laterale

21 GIUGNO 2020

Epicondilite laterale




L’epicondilite laterale è un’infiammazione descrivibile più precisamente come una degenerazione dei tendini dei muscoli estensori dell’avambraccio (tra i quali il più implicato è l’estensore radiale breve del carpo), muscoli che originano dalla porzione esterna del gomito (epicondilo laterale).

Colpisce indistintamente uomini e donne, soprattutto di età compresa tra i 30 e i 50 anni e interessa solitamente il braccio dominante. Ha un altissimo rischio di recidive.
L’epicondilite laterale è causata da un sovraccarico funzionale del gomito ed è tipica dei soggetti che, praticando determinate attività sportive o lavorative, sono costretti a ripetere specifici movimenti, quali, in particolare, la flesso-estensione del polso (rispettivamente l’avvicinamento del palmo e del dorso della mano al braccio) e la prono-supinazione dell’avambraccio (rispettivamente il palmo rivolto verso il basso e verso l’alto). Anche microtraumi ripetuti o lesioni dirette nella suddetta area anatomica possono danneggiare l’inserzione dei muscoli e quindi causare la comparsa del disturbo.

In ambito sportivo, il tennis è la disciplina che maggiormente scatena tale patologia, che infatti viene definita “gomito del tennista”, poiché spesso i giocatori non eseguono correttamente il gesto tecnico (perlopiù nel “rovescio”) o utilizzano una racchetta con impugnatura inadeguata; il tennis, inoltre, già di per sé sottopone a stress ripetuto la muscolatura del gomito.
Altri sport coinvolti sono la scherma, il lancio del giavellotto, lo squash.
In ambito lavorativo, invece, le attività (quelle del muratore, dell’idraulico, del cuoco e quelle che prevedono l’utilizzo del computer, ad esempio), che prevedono movimenti ripetitivi e intensi del gomito e del polso, possono favorire l’epicondilite laterale.

La sintomatologia si sviluppa gradualmente e presenta:
dolore e gonfiore, localizzati sulla porzione esterna del gomito, che a volte interessano anche l’avambraccio e il polso. Il dolore solitamente si accentua durante o dopo lo sforzo, anche se talvolta persiste anche a riposo, e peggiora con i movimenti del polso. Determina una progressiva riduzione della funzionalità di mano, polso e gomito che causa difficoltà nell’estensione del braccio e limitazioni nei gesti quotidiani;
debolezza nella presa anche di oggetti leggeri;
rigidità mattutina.

La diagnosi è essenzialmente clinica e si avvale, oltreché della storia clinica del soggetto, della palpazione dell’area interessata e dell’esecuzione di test provocativi (di Cozen, di Mill e di Maudsley), che ne riproducono i sintomi, e può essere integrata da esami radiologici volti a escludere eventuali patologie articolari e dalla risonanza magnetica che indaga le strutture tendinee.

Nella maggior parte dei casi il trattamento è conservativo, allo scopo di ridurre, in un primo momento, l’infiammazione e il dolore e, poi, di permettere al soggetto un ritorno alle normali attività auspicate, una volta recuperata la funzionalità del braccio.
Consta di:
• riposo articolare;
• ghiaccio;
• tutore che immobilizza l’arto in prossimità del gomito, riducendo la tensione muscolare sull’epicondilo, e bendaggi funzionali;
• farmaci antinfiammatori e, nei casi più gravi, infiltrazioni di cortisone (ora meno praticate perché possono indebolire i tendini) o di acido ialuronico;
• modifiche delle abitudini, ad esempio alternando le braccia nelle attività e mantenendo posture corrette;
• fisioterapia (esercizi di mobilità, di stretching tendineo e di rinforzo muscolare dell’avambraccio) e terapie fisiche (laserterapia, ultrasuoni, onde d’urto).

Se i sintomi persistono, nonostante il trattamento conservativo praticato per almeno sei mesi, viene indicato l’intervento chirurgico di asportazione della porzione di tendine danneggiata, realizzato perlopiù in artroscopia. La tecnica artroscopica consente un periodo di riabilitazione postoperatorio più breve e un ritorno alle attività lavorative e/o sportive più precoce.
Dopo l’intervento, il gomito viene immobilizzato in tutore (per evitare movimenti di estensione) e sono permessi movimenti liberi e cauti delle articolazioni limitrofe, in modo da ridurre il gonfiore e prevenire la rigidità.
Quando vengono rimossi i punti di sutura e il tutore (dopo 2 settimane) il soggetto può recuperare un’articolarità completa, attraverso movimenti graduali, prima passivi e poi attivi, e iniziare gli esercizi di rinforzo muscolare (anche delle zone di spalla e scapola), cominciando dall’isometria (entro la 4° settimana) e poi incrementando con l’utilizzo di pesi, elastici e carrucole (5°-6° settimana). Lo stretching può aver luogo solo quando viene raggiunta la completa mobilità.
In ultimo (7°-8° settimana), si lavora sull’allenamento funzionale che include gli esercizi propriocettivi, pliometrici e gesto-specifici.
Il recupero completo avviene nel giro di 3 mesi, periodo dopo cui è possibile tornare alla pratica sportiva.




Francesca Pellò, Dott.ssa in Fisioterapia